Il calcio è lo sport più mediatico del vecchio continente. Oggi la mediaticità di questa disciplina agonistica non coinvolge soltanto episodi facenti parte della prestazione sportiva, ma anche fatti personali degli atleti, se così possono ancora definirsi. Qui, non si polemizza sulla moralità o meno di stipendi milionari, perché ci sono in ogni settore forti redditualità di questo tipo, anche più alte di quelle calcistiche. Non sta ai singoli disquisire sull’equità o meno di ciò. I social network hanno contribuito alla distorsione dell’immagine dei giocatori di pallone, non più “atleti iper-pagati” ma modelli che creano tendenze e mode, più che altro ormai semplicemente dei Vip da rotocalco. Dalla Serie A alla Lega Pro, all’interno del sistema calcio e dei suoi atleti ruota tutto un mondo extra-calcistico fuorviante per il vero core di questa attività: lo sport in sé e per-sé. Sono le società stesse le prime a fornirsi dei sistemi social network per la comunicazione delle principali notizie interne con i tifosi. Stante così le cose, anche i calciatori sono inseriti in questo sistema comunicativo e sono presenti su tutte le piattaforme interattive principali. E’ vero che all’interno del ruolo dello sportivo vi deve essere, da un certo punto di vista, una certa empatia, sia fisica, sia digitale con il tifoso, ma così facendo in questo decennio si sono perse le vere attitudini del calciatore, in primis sportivo e poi secondariamente personaggio mediatico, come era per i vari ed isolati casi di Vieri, Galante &Co.

EFFETTI “LIVE”

Oggi non vi è più questa netta separazione tra vita sportiva e vita privata. Tutto è in tempo reale, tutto è per far vedere, tutto viene postato perché si ha uno status da difendere. Lo sportivo è la star. Il calcio è stato risucchiato dal relativismo e dalla superficialità di un’epoca mediaticamente dinamica e aggressiva, senza veri valori di fondo. I social stanno uccidendo l’essenza di uno sport fatto di sacrifici sin dalla tenera età, di duri allenamenti per migliorarsi costantemente e di Week-end spesi a giocare partite su partite. I giovani vengono influenzati dai modelli provenienti dai colleghi professionisti fatti di vacanze di lusso, tavoli in discoteca, migliaia di euro gettati alle ortiche, fuori serie, vestiti alla moda Urban Casual e belle ragazze. Conta solo farsi vedere e far vedere l’ipocrisia di cui ci mascheriamo. La conseguenza più evidente sta nel fatto che molti ragazzi nelle serie minori pensano più al calcio come un mezzo per avere il successo e non a questo sport come vero sistema di valori che può dare anche del benessere. Giocare a calcio non è una professione è una vocazione di vita. Oggi, ad eccezione delle due vere superstar del pallone (Messi & Ronaldo), ci sono solo tanti bravi giocatori a cui manca qualcosa per essere ricordati nella memoria collettiva: il senso di sacrificio per lo sport che li ha resi fortunati. Forse, sarebbe il tempo di riportare questo sport al vero spettacolo dei decenni passati: meno social, più sport.